Domenica 30 ottobre 2022 Pietro Grandi sarà sullaluna per presentare il libro Visivamente, da lui interamente scritto e illustrato. Un libro incredibile, un atlante delle immagini in movimento che attraversa secoli di storia e descrive tecniche diverse permettendo al lettore di capire in modo chiaro sia come funzionano tali immagini che come si creano.
In vista dell’evento, abbiamo colto l’occasione per fare a Pietro alcune domande.
Segue la nostra breve conversazione:
1) Nato a Verona e residente a Mantova, fondatore di Sensitive Mind, raccontaci un po’ di te e del percorso che ti ha portato fino a qui.
Sono un visual designer, nel 2008 ho fondato Sensitive Mind e mi occupo soprattutto di produzione e post produzione di video per eventi, convention, video mapping, ambienti immersivi e insegno alla NABA di Milano dal 2019.
Sensitive Mind si è sempre occupata di queste attività, lavorando insieme a grandi multinazionali e la cosa curiosa è che è nata da una passione. Prima ero dipendente in un service audio-video, poi sono diventato libero professionista e faccio questo mestiere da oltre 16 anni!
2) Da cosa nasce la tua passione per le arti visive e tra tutte, ce n’è una che senti più tua?
Fin da piccolo ero appassionato di animazione, storia dell’animazione, tecniche di proiezione, tutto ciò che riguardava teatro e cinema. Mia mamma mi accompagnava alle mostre e da lì ho cominciato presto ad amare l’arte. Ho fatto il liceo classico, non sono laureato, mi considero un autodidatta. È stata la mia curiosità personale a portarmi ad approfondire alcuni interessi, anche perché questo del visual designer è un mestiere che va fatto con passione. Altrimenti meglio seguire un’altra strada.
3) Nella sovracopertina di Visivamente scrivi che, quando guardiamo un film d’animazione, ci siamo tutti chiesti come è stato realizzato. Confesso che secondo me ci sopravvaluti… detto questo, è incredibile quante conoscenze siano necessarie per creare delle immagini in movimento. Ti ricordi qual’è stato il primo film che ti ha fatto venire questa curiosità? E chi ti ha introdotto a questi studi?
I primi film sono stati quelli della Disney. In particolare La spada nella roccia, il mio preferito. In seguito ho iniziato a studiare la storia delle immagini in movimento per scrivere il mio primo libro Pixar Story (Hoepli). Da lì ho iniziato a studiare passando dall’animazione tradizionale a quella digitale.
Per quanto riguarda la storia delle immagini in movimento, negli anni 2000, al penultimo anno di liceo, sono stato al museo del cinema di Torino e mi sono appassionato ancora di più. Ho iniziato a capire come funzionavano le illusioni e i giochi ottici che da sempre mi affascinavano.
4) Tra gli appassionati di disegno spesso c’è una polemica tra gli amanti del disegno ‘puro’ realizzato a mano e il disegno ‘realizzato a computer’. Quali sono gli aspetti unici di entrambi i tipi di disegno a tuo avviso, ossia quali caratteristiche del disegno a mano non possono essere rese virtualmente e viceversa?
Diciamo che in questi anni si sta ritornando al disegno tradizionale, nell’ambito dell’animazione digitale intendo. Ma la polemica tra disegno puro VS disegno a computer è inutile a mio avviso, anche perché stiamo parlando di tecniche. Sono strumenti differenti ma si arriva sempre all’obiettivo finale. Ritengo comunque sia importante saper disegnare prima dal vivo e poi in digitale. Questo lo vedo anche con i miei studenti in NABA: se non si sa disegnare dal vivo, poi molte cose in digitale non le riesci proprio a fare.
Comunque il futuro sarà quello di rendere sempre più realistico l’aspetto digitale. Io sono pro digitale, sono lavorativamente nato nel periodo a cavallo tra analogico e digitale e ho sempre spinto su quest’ultimo. Chiaramente per poter creare un ottimo prodotto è essenziale avere una buona idea per realizzarla poi co uno strumento che sia personale. Io per esempio disegno con la tavola grafica e il mio Mac e non con l’iPad. Questo perché ho bisogno di solitudine, di stare davanti al monitor e non in giro; ho bisogno di molta concentrazione e di un mio spazio. Poi uso Photoshop con un pennello particolare che mi sono costruito e potrei usarlo anche su un iPad, ma non voglio acquistarlo proprio perché nella costruzione di questi libri, come Visivamente e Artificio, è importante per me ricalcare, rielaborare e ricostruire. Amo costruire la composizione magari con delle immagini, delle fotografie, delle illustrazioni digitali e poi da lì ricalcare, rielaborare, ricostruire, e magari anche rifare la tavola. Credo anche che tra il ‘dal vivo e il digitale’ ci sia il tema della velocità, io per esempio ci metterei molto di più se dovessi fare tutto ‘dal vivo’.
5) Quello che trovo incredibile del libro ‘Visivamente’ è come tu sia riuscito a spiegare cose complesse con estrema semplicità e chiarezza. Quanto tempo ci è voluto per scrivere e illustrare il libro?
Visivamente nasce da un processo lungo 4 anni. Ho iniziato nel 2018 a raccogliere libri su libri; ho letto più 300 volumi in italiano, inglese e francese. Per le illustrazioni ci sono voluti quasi 4 anni, non continuativi, anche perché con il mio lavoro non ho mai tanto tempo. Il lockdown mi è stato utile per chiudere questo libro. Tutta la parte di scrittura invece è nata nel 2020, quando ho iniziato con brevi appunti. Infine la parte manualistica, l’ultima parte didattica, è nata gli ultimi due anni.
Prima ho iniziato ad archiviare e ordinare tutte le immagini, ho disegnato più immagini di quelle che si trovano nel libro e poi, insieme all’editore, abbiamo selezionato. Un’altra esperienza importante è stato un viaggio in treno da Venezia a Parigi, che ho fatto da solo perché volevo visitare di persona i luoghi più importanti per le mie ricerche. Sono stato a Venezia all’archivio del prof. Carlo Montanaro, alla Fabbrica del Vedere, che poi è stato anche il supervisore del libro e al Museo del Cinema di Torino. Poi sono stato agli Studi Lumière a Lione per la prima volta e a Parigi a La Cinémathèque. In due settimane ho visitato i musei più importanti d’Europa e ho iniziato a riassumere un po’ tutto quello che vedevo e scoprivo.
6) Fai molti laboratori pratici con i bambini. Quale aspetto secondo te li coinvolge di più? C’è un episodio che vuoi condividere con noi?
Ho fatto diversi laboratori in NABA, anche con studenti di pre-cinema, quindi di 18/19 anni, mentre con i bambini solo una volta a Mantova durante il Festival della Letteratura. I laboratori erano sui giochi ottici e abbiamo costruito uno zootropio in cartone e dei vetrini per lanterne magiche. Mi sono divertito molto perché ho capito che anche questa generazione, parliamo di bambini tra i 6 e i 12 anni, ha voglia di capire come funzionano le cose. Un bambino in particolare mi ha colpito, stavo presentando gli oggetti e mi ha chiesto “ma come funzione questo oggetto(riferito allo zootropio)? com’è possibile che vediamo questa immagine in movimento in un cartoncino e non ci sia dietro un computer che la generi?”.
Interessante notare che questa generazione pensa in modo quasi contrario a quella che è la realtà delle cose.
7) Venezia è una città molto importante per la storia delle immagini e del cinema e nel tuo libro torna spesso. Posso chiederti come vivi questa città e se hai un cinema o un teatro (anche attualmente chiuso) preferito?
Venezia torna perché lì sono state inventate molte cose in ambito ottico e poi perché il prof. Carlo Montanaro è di Venezia. Venezia è una città che ho nel cuore, ma non c’è un cinema in particolare a cui sono affezionato. Anzi credo di non essere mai stato al cinema a Venezia. Sono legato soprattutto al sestiere di Cannaregio e poi, per un fatto di nostalgia del passato, di quando spesso andavo con i nonni, anche all’area Marciana.
Venezia è un posto magico per la luce, la sua misura d’uomo e non solo. Venezia, Vienna e Parigi sono le città che amo di più.
8) Infine ti chiedo secondo te quale potrà essere il futuro del cinema? Arriveremo veramente a schermi semi-circolari che renderanno l’esperienza del film full-immersive e faranno sentire lo spettatore dentro all’azione? O avremo una pluralità di sale e schermi?
Ovviamente non ho la sfera di cristallo, ma immagino che le multisale esisteranno solo per un fatto esperenziale, saranno più piccole ma con schermi sempre più grandi, offrendo un’ esperienza più impattante. Le vecchie multisale spariranno o saranno più piccole, per esempio passando da 8 sale a 4. I piccoli cinema rimarranno, saranno lo zoccolo duro, piccole sale per andare a vedere i vecchi film in digitale o ogni tanto dei festival in pellicola.
La questione immersività, realtà aumentata, la questione occhiale, è una cosa che avverrà, questo lo vedremo, ma sarà sempre in modo graduale. Gli ambienti immersivi ci sono già nell’ambito museale. Nel cinema è ancora tutto da vedere anche perché non ci siamo ancora arrivati, seppur ci sono già molti film con realtà aumentata, ma la ritengo ancora una betta, in gergo tecnico. Di certo quello lo chiamano futuro, ma probabilmente soprattutto per quanto riguarda l’ infotainment, le infografiche. Adesso usciranno diverse tecnologie di occhiali, ma ritengo che l’esperienza cinematografica rimarrà ancora quella che conosciamo. La vera divisione non è tra occhiale/multisala ma tra stare a casa e andare al cinema. La gente ormai rimane in casa un po’ per una questione di costi, ma anche perché a casa può avere l’immersività anche con un 60 pollici e poi con un abbonamento di 9 euro può avere una piattaforma con più film. L’esperienza ovviamente è nettamente diversa, ma il problema è tutto lì.